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mercoledì 26 marzo 2014

La destalinizzazione (1): la nuova politica estera sovietica


Soldati e ufficiali dell'esercito nordcoreano.
Alla morte di Stalin l'Unione Sovietica si trovava in una delicata situazione internazionale. In particolare, i nuovi leader del paese non sapevano nulla o quasi di politica estera, che per anni era stata feudo personale del dittatore. L'eredità di Stalin in politica estera si presentava quindi non meno pesante e preoccupante della situazione interna. In Europa rimaneva irrisolta la questione austriaca, e gravida di incognite e frizioni appariva la questione tedesca. In Asia le cose non andavano meglio. L'URSS non aveva relazioni diplomatiche con il Giappone e in Corea il conflitto tra Nord e Sud era ancora in corso.

All'interno del campo comunista cominciavano a mostrarsi le prime crepe. La Jugoslavia di Tito era stata espulsa dal Cominform mentre dalla Cina socialista Mao non mancava di esprimere vari malumori. Inoltre negli Stati dell'Europa orientale le conseguenze e i nodi delle durissime politiche attuate dagli stalinisti locali stavano ormai giungendo al pettine.



I nuovi dirigenti mutano rotta: riequilibrio e distensione


Benché inesperti, i nuovi dirigenti capirono ben presto quale fosse la direzione verso qui puntare: allentare al più presto la tensione internazionale e spingere verso le riforme anche i leader comunisti locali. Il 19 marzo 1953 una risoluzione del Consiglio dei ministri si espresse sulla necessità di porre fine al conflitto in Corea. Inoltre, a fine maggio, Berija, che fu fino al suo arresto il principale animatore delle riforme, stese un documento molto duro sul modo in cui i dirigenti della Germania dell'Est stavano attuando collettivizzazione e industrializzazione. Le politiche citate causarono uno scontento popolare che sfociò negli scioperi operai di Berlino del 16-17 giugno, subito repressi con grandissima decisione dalle truppe corazzate sovietiche.

Finalmente a fine luglio fu raggiunto un accordo sul cessate il fuoco in Corea. In agosto, il primo ministro Malenkov tenne al Soviet Supremo un famoso discorso in cui vantò l'allentarsi della tensione internazionale e pronunciò per la prima volta la parola distensione (razrjadka). Malenkov, che nei primi anni dopo la morte di Stalin animò l'approvazione di numerose riforme, fu anche uno dei primi leader mondiali ad affermare che una nuova guerra, condotta con l'uso massiccio di armi nucleari, avrebbe significato la distruzione dell'umanità. Ci troviamo davanti ad un ribaltamento della teoria bolscevica che legava indissolubilmente guerra e rivoluzione. La seconda, non essendo più possibile la prima, avrebbe dovuto trovare altre strade.

L'assetto delle alleanze della Guerra Fredda nel 1959.
Guerra fredda: come risultavano le alleanze nel 1959.
Fonte: wikipedia.
La svolta in politica estera fu sancita solennemente al XX Congresso del PCUS, nel quale Chruščёv avviò la destalinizzazione anche nei rapporti con i paesi socialisti fratelli. Egli portò a maturazione le convinzioni del 1955, grazie alle quali fu possibile la riconciliazione con la Jugoslavia di Tito e avviare un riequilibrio dei rapporti ineguali che Stalin aveva stabilito tra URSS e paesi del blocco sovietico. Le direttive della politica sovietica furono improntate al miglioramento delle relazioni tra le grandi potenze, all'azione per eliminare tutti i pericoli di guerre locali, alla normalizzazione dei rapporti con gli Stati con cui esistevano tensioni (fu risolta la questione austriaca e l'URSS riconobbe la Germania federale). 

Ma soprattutto Chruščёv smentì le tesi staliniane sulla inevitabilità della guerra tra paesi imperialisti e aprì alla possibilità che la forza del movimento operaio potesse sfociare nella formazione di fronti popolari capaci di conquistare la maggioranza parlamentare e quindi di evitare guerre civili rivoluzionarie. Venne cosi rivalutato il parlamentarismo democratico-borghese, che nella visione leninista era uno strumento inservibile per la presa del potere da parte dei comunisti. Chruščёv mutò anche l'immagine che l'URSS aveva di paese chiuso in se stesso, viaggiando tantissimo all'estero e incontrando i massimi leader dell'epoca. 

Anche gli aiuti alla Cina socialista, che Stalin elargì con parsimonia, furono moltiplicati di diverse volte (tra il 1954 e il 1960 tali aiuti raggiunsero la cifra notevolissima di 20 miliardi di rubli). Grandi cambiamenti avvennero nel “Terzo mondo”. Nell'aprile 1955 si riunirono a Bandung ventinove paesi asiatici e africani, legati tra loro dall'esperienza traumatica del colonialismo occidentale e quindi assai più propensi a sposare tesi anti-imperialiste. Cominciò cosi, nelle relazioni internazionali, un periodo estremamente favorevole per l'URSS, che a seguito di Bandung mutò la propria strategia nei confronti del “Terzo mondo”. Le leadership di questi paesi, considerate fino a poco tempo prima “nazional-borghesi”, venivano ora definite “progressiste”. I processi di liberazione nazionale furono inclusi dentro un fenomeno più ampio di emancipazione dal giogo capitalista, fenomeno che, secondo Mosca, sarebbe dovuto sfociare nell'instaurazione di regimi socialisti. Aumentarono quindi le ambizioni e gli interessi internazionali dell'URSS e con essi anche gli impegni economici, spesso sotto forma di forniture di armamenti.



Le riforme nell'Europa dell'Est: primi problemi per la nuova direzione


La nuova leadership rinnovò anche gli inviti ai dirigenti dei paesi satelliti affinché introducessero riforme importanti e bloccassero i processi di socializzazione forzata.  La denuncia dei crimini di Stalin innescò una reazione a catena in cui lotta per la riabilitazione delle vittime degli stalinismi locali, rivendicazioni operaie e sentimenti di indipendenza nazionale anti-russa si fusero in una miscela esplosiva. 

Foto scattata a Poznan nel 1956, durante le proteste: operai in corteo.
Operai protestano a Poznan, giugno del 1956.
Ciò accadde soprattutto in alcuni dei paesi satelliti. In Polonia il 28 di giugno del 1956 gli operai delle officine automobilistiche Poznan entrarono in agitazione. La protesta, inizialmente pacifica, si trasformò ben presto in un tumulto dai connotati politici e rivendicativi. Gli operai gridavano “Pane!” oppure “Truppe sovietiche fuori dalla Polonia”. L'esercito polacco si rifiutò di sparare sulla folla. Solo le truppe fedeli al ministero degli interni riuscirono a stroncare la rivolta con un sanguinoso intervento che costò 38 morti e 270 feriti. 

Il partito polacco conobbe ore drammatiche. In una seduta del Comitato Centrale vennero riabilitate alcune vittime del terrore stalinista. Gomulka su tutti propose un nuovo programma economico. Gli stalinisti pare si preparassero ad un colpo di stato. Una delegazione sovietica con alla testa Chruščёv giunse in Polonia per partecipare alla seduta. I dirigenti di Mosca minacciarono un intervento delle truppe del Patto di Varsavia se la situazione non si fosse normalizzata. L'elezione di Gomulka alla carica di Segretario Generale aiutò non poco a calmare i nervi agli operai. Chruščёv ordinò alle truppe di Konev di arrestarsi. L'insurrezione generale fu evitata di un soffio. L'esempio polacco dimostrò quanto fosse  pesante il fardello staliniano nel quadro delle relazioni internazionali.

Gli avvenimenti assunsero una piega diversa in Ungheria. Il regime dello stalinista Rakosi era uno dei più duri di tutta l’Europa orientale. La polizia politica ungherese era sicuramente la più odiata. Per tre anni la febbre nel paese era salita. Le riabilitazioni di Mosca arrivarono anche a Budapest. Rakosi, che criticò fortemente il rapporto segreto di Chruščёv, fu il responsabile della soppressione illegale di molti illustri membri del partito comunista ungherese. 

Molti di essi furono riabilitati e i corpi riesumati. Il 6 ottobre 1956 oltre 200.000 persone accompagnarono le spoglie dei defunti durante la celebrazione di funerali solenni. Gli operai della città cominciarono ad organizzarsi in consigli. Il movimento trascinava con sé studenti, intellettuali, semplici cittadini. Il problema cruciale era l'occupazione militare sovietica, vissuta come un oltraggio dalla popolazione. 

Il 23 ottobre Imre Nagy divenne primo ministro e invitò la popolazione a deporre le armi. Ma ormai era troppo tardi. I nodi insanguinati di anni di brutale dittatura stavano arrivando al pettine. 200.000 persone si radunarono davanti al parlamento e abbatterono la statua di Stalin. Nei quartieri della città si formarono piccoli distaccamenti militari forniti di un proprio comando. I consigli operai cominciarono ad avanzare rivendicazioni politico-sociali: democrazia, pluralismo, ritiro delle truppe sovietiche

Budapest, 1956: folla e carro armato nella strada.
Budapest, 1956.
Tra il 24 e il 30 ottobre, mentre la rivolta continuava a crescere, i sovietici maturarono l'idea che un intervento militare fosse inevitabile. L'annuncio di riforme e l'allontanamento degli stalinisti non erano bastati. Inoltre, mentre in Polonia il movimento si fece capeggiare dal partito e da Gomulka, in Ungheria accadde il contrario: il governo si fece trascinare dalle rivendicazioni popolari. Nagy, il quale fu sospinto dai sovietici ad assumere l'incarico di formare un nuovo governo, si trovò presto nella impossibile condizione di dover soddisfare le richieste di questi e allo stesso tempo far fronte alla montante protesta popolare. 

Il primo di novembre le truppe del Patto di Varsavia invasero in massa il paese. Un furibondo Nagy dichiarò la sera stessa l'uscita dell'Ungheria dall'orbita militare sovietica e invocò l'aiuto delle Nazioni Unite. I disperati appelli del governo non ottennero alcun effetto rilevante. I contemporanei fatti di Suez distolsero l'attenzione dell'occidente e dell'opinione pubblica mondiale. Il 3 novembre Nagy formò un nuovo gabinetto composto da più partiti. Il giorno seguente i sovietici cominciarono a bombardare la capitale. La rivoluzione ungherese fu schiacciata nel giro di tre giorni. Nagy e i suoi più stretti collaboratori furono arrestati, processati e poi fucilati il 16 giugno del 1958.



Lo scontento della vecchia guardia


Gli eventi del 1956 misero in seria difficoltà Chruščёv e la sua politica e consentirono agli stalinisti di tornare alla carica. I tentativi di questi ultimi di ridimensionarne il potere conobbero il suo culmine nel plenum del giugno 1957, di cui parleremo, e nel quale tentarono senza successo di estromettere il Primo Segretario. 

Questa congiura fallita costò ai Kaganovič, ai Molotov e ai Malenkov la definitiva estromissione dal gotha del potere sovietico e Chruščёv concentrò il potere nelle sue sole mani. L'allontanamento degli stalinisti e la rinnovata politica distensiva che ne seguì causò i mugugni, sempre più marcati, di Mao Zedong.


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Secondo post sulla destalinizzazione e la politica estera sovietica: Mao, Cuba e la Bomba.

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