mercoledì 22 ottobre 2014

Chruščёv, la burocrazia e il Partito: una dialettica destabilizzante tra legami e conflitti.


Chruščёv saluta dal finestrino di uno scompartimento ferroviario.
La morte di Stalin fu un evento salutato con dolore dalla casta burocratica dell'Unione Sovietica, ma fu anche un motivo di sollievo. Dopo gli anni del terrore di massa e i terribili anni della guerra anche la burocrazia desiderava godere della propria posizione di privilegio senza temere persecuzioni improvvise, processi, condanne e fucilazioni. La scomparsa del dittatore e la successiva eliminazione di Berija contribuirono a instaurare nel paese un clima più disteso anche nei vertici istituzionali.

Il XX Congresso fu indubbiamente una tappa fondamentale di questa normalizzazione della vita interna del Partito. Chruščёv nel suo discorso pose l'accento sui crimini di Stalin commessi contro il Partito e tralasciò completamente quelli commessi contro la popolazione in generale. Un atteggiamento del genere può essere interpretato come un messaggio del leader alla sua base: il passato non può ripetersi e io ne sono la garanzia. In altre parole Chruščёv avrebbe liberato i più alti strati della nomenklatura  dal terrore della repressione, ponendo le basi per la liberazione di energie e capacità prima imprigionate dalla paura.


Inoltre questi quadri, stalinisti per formazione e per convinzione, erano stanchi di dover ricorrere alla brutale repressione imposta dalle politiche del padrone, di dover stare svegli tutta la notte in attesa di una telefonata, di essere costretti a reprimere i loro compagni finiti nel tritacarne della delazione.
L'atto di denuncia di Chruščёv fu liberatorio, anche se non tutti ne condivisero il metodo. Molti burocrati criticarono aspramente la spettacolare denuncia di Chruščёv e la sua incapacità di contenere la fuga di notizie sui contenuti scottanti del rapporto segreto. Temevano, e a ragione, le reazioni alle rivelazioni dei crimini di Stalin: reazioni che avrebbero potuto compromettere anche le loro posizioni e la loro credibilità. Molti di essi sapevano di aver avuto un ruolo nel terrore e di essersi avvantaggiati dalla scomparsa di molti colleghi.

Il rapporto tra Chruščёv e la sua base fu quindi inaugurato da gratitudine e riconoscenza ma anche da dubbi e ostilità. Secondo Medvedev, dopo che Chruščёv giunse al vertice dell'apparato, ne subì gli influssi ma rimase sempre personalmente ostile a questa struttura, della quale in realtà non si fidava. In questa sfida egli comunque non prevalse, in quanto alla fine del suo governo l'apparato da lui presieduto si era ulteriormente rafforzato e ingrandito.



Chruščёv alla prova del governo


Dopo il XX Congresso cominciò per Chruščёv un periodo difficile, caratterizzato dalle inquietudini che la denuncia di Stalin aveva innescato. I suoi avversari nel Presidium, guidati dallo stalinista Molotov, ne approfittavano e si preparavano alla rivincita. Il 14 di dicembre del 1956 il Presidium approvò una bozza, preparata da una commissione presieduta da Brežnev, volta ad incentivare la vigilanza dei militanti del Partito contro tutti gli elementi ostili che stavano profittando del nuovo clima per chiedere più democrazia.

Ne scaturì un giro di vite contro giovani e intellettuali che stavano animando i dibattiti sulla destalinizzazione e le sue prospettive. La rinnovata influenza degli stalinisti al vertice del partito fu confermata dallo stesso Chruščёv che, in un discorso all'ambasciata cinese, cantò le lodi di Stalin come comunista e lottatore. Egli, temporaneamente posto con le spalle al muro, stava attendendo il momento per passare al contrattacco.

Lo spunto gli venne fornito dal dibattito sul decentramento economico apertosi nei primi mesi del 1957. Al plenum di febbraio egli attaccò la potenza autocratica dei ministeri economici retti dai suoi avversari ed esaltò il decentramento, proponendo di creare decine di consigli economici regionali (Sovnarchoz). Essi avrebbero retto l'economia sostituendosi allo strapotere di Mosca. La riforma parve subito molto allettante ai segretari di Obkom e ai Comitati Centrali delle repubbliche, che in questo modo avrebbero acquisito il controllo delle leve dell'economia locale. Alcuni ministeri di rilevante importanza strategica, facenti capo al complesso militare-industriale, vennero salvati dalla riforma e mantenuti al centro. Gli altri ministeri economici vennero aboliti e le loro funzioni trasferite ai Sovnarchoz. Il colpo inferto alla grande burocrazia centrale creata da Stalin fu enorme e l'insofferenza contro l'azione di governo di Chruščёv aumentò.

Tuttavia egli stava sostenendo le aspirazioni e le ambizioni dello strato burocratico intermedio, quello dei dirigenti regionali e repubblicani. Essi stavano emergendo come lo strato più influente del Partito e detenevano la maggioranza in seno al Comitato Centrale. Quindi il sistema sovietico stava vivendo una delle sue evoluzioni più importanti e decisive, segnata dall'indebolimento del potere centrale e dalla sua dipendenza da quello periferico. Con questo ovviamente non intendo dire che Mosca non contasse più nulla, ovvero che nella spartizione di interessi e risorse stavano entrando in scena protagonisti decisivi dei quali il centro non poteva più, come in passato, non tener conto.

Furono proprio questi nuovi protagonisti a salvare Chruščёv dalla prematura destituzione. La cupola moscovita del Partito, infuriata per la riforma dei ministeri, mosse contro di lui una congiura che si materializzò nella convocazione straordinaria di un Presidium il 18 di giugno del 1957. La richiesta di dimissioni fu presentata ed era sostenuta dalla maggioranza dei presenti. Tuttavia Chruščёv riuscì a far rimandare la votazione e nel giro di due giorni un ponte aereo organizzato dall'esercito condusse a Mosca i membri del Comitato Centrale fedeli al segretario. Durante il plenum straordinario del 22 di giugno gli stalinisti vennero messi con le spalle al muro definitivamente. Il maresciallo Žukov, l'eroe di Berlino e vero salvatore di Chruščёv, tenne un discorso durissimo e accusò gli stalinisti presenti di essere responsabili di crimini inauditi. Oltre all'esercito, anche gli esponenti dei dicasteri economici che erano stati penalizzati, i funzionari del Comitato Centrale e gli esponenti del KGB si schierarono con Chruščёv.

A conferma del significato profondo del XX Congresso, essi avevano paura che in caso di vittoria di Molotov e seguaci il sangue sarebbe tornato a scorrere. Nessuno fu disposto a rischiare un ritorno al duro passato e Chruščёv rappresentava allora l'unica garanzia che questo non accadesse. La sua vittoria nella votazione finale fu schiacciante e i suoi nemici furono allontanati per sempre da posizioni di rilievo.



Nuovi equilibri fra le istituzioni


Ma la vittoria non era solo sua. Il plenum del giugno 1957 segnò il rafforzamento della preminenza del Partito su tutte le altre istituzioni sovietiche e degli apparati del Comitato Centrale sul Partito. Chruščёv fu troppo eccitato per rendersene subito conto e in seguito commise errori che i suoi nuovi “grandi elettori” non gli perdonarono. Nell'immediato per questo apparato Chruščёv era l'esempio e il simbolo. Come loro aveva scalato ad uno ad uno i gradini del potere periferico. Come loro era di umili origini. Li aveva liberati dalla paura di Stalin e aveva concesso loro potere e interessi da spartire.

Vjačeslav Michajlovič Molotov, ritratto.
Uno degli sconfitti del plenum del giugno '57,
Vjačeslav Michajlovič Molotov.
La sconfitta del “gruppo antipartito” guidato da Molotov pose fine alla reazione repressiva seguita al
XX Congresso e nuovi dibattiti cominciarono ad animare il Partito. Il più importante di questi fu senz'altro sviluppato in campo ideologico, dove si cominciò a parlare della trasformazione dell'URSS da uno Stato della dittatura proletaria ad uno Stato di tutto il popolo e non di una sola classe. Il concetto ebbe implicazioni enormi perché rispecchiava i sentimenti di una classe dirigente desiderosa di eliminare la giustificazione teorica del terrore di massa che il concetto di dittatura proletaria comportava fin dall'epoca di Stalin.  La svolta conteneva quindi l'obbiettivo di garantire al paese un futuro diverso, normale e socialmente pacifico.

La svolta progressista del Partito continuò con la messa sotto controllo del KGB da parte del Comitato Centrale e con l'abolizione epocale della severa legislazione staliniana sui “nemici del popolo” e sui “crimini controrivoluzionari”. Molti reati furono depenalizzati e fu vietata la pressione fisica sugli arrestati. L'influenza e il controllo del Partito si strinsero anche attorno all'esercito che fino a quel momento era l'istituzione che aveva goduto di maggiore autonomia. La scelta fu sancita dal pensionamento forzato di Žukov, che Chruščёv temeva nonostante gli dovesse la salvezza. Chruščёv si sbarazzò così del suo ultimo potenziale rivale per il potere supremo. Questo venne certificato durante il XXI Congresso del PCUS, tenutosi nel gennaio 1959. In questa sede venne approvato il piano settennale (1959-1965) basato sui Sovnarchoz.

La luna di miele tra Chruščёv e la burocrazia intermedia non durò a lungo. Scontri assai duri comparvero in relazione alla riforma della scuola di fine anni 50. L'URSS si stava confrontando per la prima volta con i problemi derivanti dall'istruzione di massa. Il bisogno di manodopera mal si conciliava con l'aspirazione dei giovani a conseguire una laurea e ad evitare i lavori manuali.

Nel 1958 i diplomati furono 1.574.000, 456.000 dei quali proseguì gli studi universitari. Chruščёv abolì il sistema delle “riserve del lavoro” e lo sostituì con normali istituti professionali. Alla scuola media superiore fu dato invece un profilo “politecnico” che avrebbe dovuto accoppiare l'istruzione generale a un'attività lavorativa, destinata a fornire la conoscenza di uno o più mestieri. L'ammissione all'Università doveva essere riservata in via privilegiata ai giovani che avevano alle spalle un'esperienza lavorativa in fabbrica o nei campi.

Su quest'ultimo punto la riforma fu duramente contestata dai ceti intellettuali delle città, che riuscirono ad evitarne l'attuazione. Il fatto impone una riflessione sull'esistenza di un'opinione pubblica sovietica composta da quei ceti professionali sui quali il regime poggiava e i pareri dei quali non poteva completamente ignorare. La questione centrale della riforma fu tuttavia l'uso del russo come lingua principale in tutte le repubbliche. Si creò allora una frattura tra Chruščёv e i dirigenti repubblicani dell'Ucraina, del Caucaso e del Baltico. Il primo segretario aveva in mente una russificazione “dolce” come base di sostegno contro i nazionalismi locali.

La rottura si acuì sui problemi agricoli del 1960, quando il primo segretario accusò di inefficienza la burocrazia ucraina, che lui conosceva bene e che lo aveva sempre sostenuto. Altre riforme che dimostrano l'insofferenza di Chruščёv contro la burocrazia furono proposte durante il XXII Congresso dell'Ottobre 1962. La proposta shock fu quella di introdurre la rotazione dei quadri dirigenti. Lo scopo era quello di evitare la concentrazione del potere locale nelle mani di singoli individui e porre un termine all'occupazione delle cariche da parte dei dirigenti, specie se anziani.

La proposta di limitare le cariche a due o tre mandati fu subito impopolare, sia tra i quadri anziani, che videro minate le proprie posizioni, sia tra quelli giovani, che non avevano speranza di restare a lungo nelle poltrone appena acquisite. Nel complesso si trattava di una riforma che andava contro lo spirito stesso di un sistema burocratico-clientelare, forse più di quanto non facessero le purghe staliniane, che restavano degli eventi straordinari e imprevedibili. Le resistenze furono tenaci e sotterranee. I meccanismi di attuazione della riforma furono annacquati e applicati raramente solo per le cariche minori.

Sempre al XXII Congresso il Partito annunciò la definitiva edificazione del socialismo e poneva come nuovo obbiettivo il raggiungimento del comunismo. La società sovietica venne descritta come armonica, composta da due classi (contadini e operai) e uno strato, quello degli intellettuali. Al raggiungimento del comunismo venne legata la comparsa dell'uomo nuovo, dotato di sani principi e di un codice morale che però suonava tanto più ipocrita e perbenista quanto più era lontano dalla realtà sovietica. Coerentemente con le riflessioni staliniane il ruolo dello Stato fu preservato, ma, si disse, non più in qualità di comitato d'affari di una classe al potere, ma come organo tecnico-amministrativo incaricato di organizzare il benessere per tutto il popolo.

In discontinuità con le apprensioni staliniane del 1952 scomparvero del tutto le inquietudini relative al ruolo della “legge valore” e della moneta, nonché quelle riguardanti la natura dualistica del sistema colcosiano. Il passaggio al comunismo, previsto per il 1981, non destava quindi particolari preoccupazioni e venne liquidato con formule molto più semplicistiche di quanto non fosse stato fatto in passato. Venne inoltre rilanciata la sfida all'America, anche se i primi segni di rallentamento dell'economia sovietica erano già evidenti. Nonostante queste promesse mettessero il regime in rotta di collisione con le aspettative, presto deluse, che esso stesso suscitava, nell'immediato i successi spaziali e l'apertura relativa del regime contribuirono ad un aumento degli iscritti al Partito. Essi raggiunsero il 10 percento della popolazione nel 1962 contro il 5 percento dei primi anni del dopoguerra.

Il XXII Congresso fu comunque un evento importante nel progresso della destalinizzazione. La salma di Stalin fu tolta dal mausoleo di Lenin e Molotov venne espulso dal Partito. Le difficoltà in agricoltura spinsero Chruščёv verso l'ennesimo scontro contro la burocrazia intermedia. In uno dei suoi numerosi viaggi all'interno del paese fu disgustato dal servilismo che i dirigenti locali gli riservarono e ciò accrebbe la sua sfiducia in funzionari che credeva incompetenti. Allora decise di sostituire i Comitati distrettuali del Partito (rajkom) con delle direzioni produttive presiedute da agronomi e specialisti e di trasformare i segretari locali di Partito in commissari politici di queste direzioni. La reazione delle decine di migliaia di funzionari che governavano su colcos e sovcos fu durissima e Chruščёv fu tempestato di lettere. Egli era alla ricerca di formule magiche capaci di spezzare l'impasse in cui si trovava e rincarò la dose. Nell'estate del 1962 concepì l'idea di dividere il Partito in due tronconi, uno industriale e uno agricolo, nella speranza che una maggiore specializzazione avrebbe migliorato le cose. Tutti nel Partito si chiesero quali conseguenze avrebbe avuto una riforma del genere. Quasi tutti ne avvertirono subito la forte impopolarità e anche gli intellettuali riformisti non riuscirono a capire se l'obbiettivo fosse ancora punire i funzionari oppure puntare ad un embrione di bipartitismo.



Una tempesta sotto l'orizzonte


Dopo la crisi di Cuba Chruščёv si fece ancora più arrogante. In un plenum tenutosi nel novembre del 1962 si scagliò contro i suoi collaboratori in maniera irriguardosa e decise di punire i segretari regionali con un nuovo accentramento delle istituzioni economiche. Furono creati due nuovi organismi, il Consiglio superiore dell'economia e il Comitato di controllo del Partito e dello Stato. In pratica Chruščёv, mentre con una mano mostrava il pugno alla burocrazia, con l'altra firmava decreti che ne moltiplicavano gli organi. La riforma dei distretti rurali comportò il moltiplicarsi dei soviet e dei loro comitati esecutivi, divisi in agricoli e industriali.

Si stava aprendo un grande dramma politico, che avrebbe portato alla rimozione di un segretario arrivato al potere grazie all'esaltazione delle prerogative di un Partito che ora cercava di sottomettere con la costituzione di altri organi. Gorbačёv avrebbe poi avanzato l'ipotesi che Chruščёv, resosi conto del conservatorismo del Partito, stesse tentando di svuotarlo dei suoi poteri per cercare di costruirsi un nuovo strumento di azione. I malumori nel Partito erano ormai al culmine; a questi si aggiungevano quelli della popolazione e degli intellettuali. Tuttavia il rispetto e il timore nei confronti del capo, ancora profondamente radicati nella mentalità sovietica, impedirono la formazione di una resistenza aperta e tutte le iniziative kruscioviane furono votate con “entusiasmo” e all'unanimità. Tuttavia le continue assenza per missioni all'estero del primo segretario (170 giorni nel 1963 e 150 nel 1964) diedero ai suoi rivali il tempo per tessere le loro trame, cercare alleati e preparare la trappola.

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