mercoledì 24 luglio 2013

L'eredità del periodo staliniano: stalinismo e marxismo.


Vignetta di Marx che sgrida Stalin come un genitore: "Adesso facciamo i conti!"
Con questo post inizia ufficialmente la rubrica della storia dell'URSS in pillole, che ci accompagnerà fino alla caduta dell'Unione Sovietica. Si parte: Stalin e l'impronta conservatrice che imprimerà al paese dei Soviet.



Il marxismo, il potere e Stalin


La dottrina di Marx, che aveva fatto della lotta per una democrazia sostanziale uno dei suoi pilastri fondamentali, non prevedeva spazio alcuno per la teoria del ruolo di un "capo" carismatico che assumesse nelle proprie mani la guida delle trasformazioni sociali. Nell'ottica marxiana solo il controllo permanente dei lavoratori nei confronti dei propri rappresentanti avrebbe potuto costituire la garanzia del rispetto delle prerogative operaie. Nulla era considerato più anti-marxista della teoria dell'eroe depositario del monopolio delle verità teoriche e del potere politico. 


Lenin ridefinì lo schema marxiano di emancipazione collettiva teorizzando il primato del partito sulle masse rivoluzionarie. Stalin lo ribaltò definitivamente stabilendo il primato sostanziale dell'autocrate sul partito stesso. Dall'ascesa di Stalin verso il potere assoluto possiamo far emergere alcune caratteristiche della sua maturazione teorica:
  • Luglio 1917; VI Congresso del partito bolscevico: Stalin espone la convinzione che la Russia debba aprire, nonostante la sua arretratezza, uno sbocco rivoluzionario verso il socialismo e definisce il concetto di "marxismo creativo" ;
  • Ottobre 1920; Nell'opuscolo La situazione politica della repubblica Stalin ribadisce la convinzione che, vinta la guerra civile, i bolscevichi non debbano impostare una politica fondata sulla convinzione della ineluttabilità della rivoluzione in Occidente ma piuttosto dirigere energie e risorse verso la stabilizzazione del regime e potenziare il potere politico e statale sovietico;
  • La tendenza a esaltare il carattere internazionale della rivoluzione russa e a trascurare il carattere potenzialmente filo-russo (o filo-sovietico) della rivoluzione internazionale;
  • La tendenza a scivolare verso posizioni scioviniste  (lo "sciovinismo grande-russo dei non russi russificati" tanto temuto da Lenin);
  • La predilezione per il lavoro politico-organizzativo di selezione dei quadri rispetto alle dispute di carattere teorico.



Stalin: lo stile dell'uomo di potere


L'apporto teorico di Stalin al comunismo internazionale non è valutabile separatamente dagli scopi politici immediati. Nel suo pensiero non vi fu spazio per l’appassionata speculazione volta alla comprensione della realtà sociale ma piuttosto per la giustificazione teorica delle scelte pratiche. 

Per comprendere appieno il peso delle caratteristiche soggettive di Stalin sul corso della storia è necessario evidenziarne alcune caratteristiche fondamentali. Il suo stile personale rispecchiava l’esigenza di rappresentanza della mentalità collettiva dei funzionari di partito e della burocrazia. Il suo fu un linguaggio semplice e solenne, mutuato da certa oratoria religiosa, capace di ritualizzare e glorificare il messaggio politico e di fornire ai militanti un quadro concettuale e simbolico. Tale prassi comunicativa, che ben si adattava alle mentalità prevalenti dei quadri intermedi e alla loro provenienza sociale, riuscì a stimolare mobilitazione e fedeltà.
Famosa foto di Stalin che lavora seduto alla scrivania e fuma la pipa.
Il quadro complessivo entro il quale maturò la concezione staliniana del marxismo divergeva dai suoi contemporanei su un punto fondamentale: uomini come Lenin e Trockij non smisero mai di interrogarsi su questioni di valore, vivendo con travaglio umano e intellettuale la divaricazione tra realtà sovietica e ideale comunista. Per Stalin invece la difesa dell'URSS come entità statale era un valore in sé, che doveva essere tutelato anche a costo di sbarazzarsi per sempre di tutte quelle inquietudini umaniste che rappresentavano tuttavia una parte fondamentale del patrimonio ideologico marxista. 

La necessità di fornire una risposta sul ruolo sempre crescente che lo Stato e i suoi apparati andavano assumendo in relazione ai compiti della pianificazione dell'economia e della società, della gigantesca opera di repressione e delle esigenze di difesa nazionale, spinse Stalin ad elaborare una teoria dello Stato fortemente antitetica ai principi del marxismo ortodosso

Nel marzo 1939, dal palco del XVIII Congresso del partito, Stalin sostenne che quanto maggiormente il socialismo sarebbe progredito, tanto sarebbero aumentate le resistenze ad esso, sia dentro che fuori la nazione. Una tesi del genere, oltre a costituire una base di legittimazione per il terrore di massa, rappresentava l'esatto opposto dell'idea marxiana e leniniana dello sviluppo sociale, in base alla quale al progresso nella costruzione della società nuova avrebbe dovuto corrispondere un esaurirsi delle funzioni del vecchio Stato. Il revisionismo staliniano della teoria dello Stato, che ruppe i ponti con il marxismo ortodosso e il leninismo, si potrebbe collocare tra le correnti ultra-stataliste del realismo contemporaneo.




La svolta conservatrice degli anni '30

Negli anni '30 le concezioni di derivazione marxista furono rigettate soprattutto nei campi dell'educazione, delle relazioni nel lavoro, nella criminologia e nelle relazioni familiari. Tali concezioni furono giudicate piccolo-borghesi mentre la svolta conservatrice del regime venne beffardamente definita “marxista” . L'attaccamento agli ideali dell’Ottobre rimase come dogma. 

L'autoinganno si trasformò presto in giustificazione dell’inganno. Nel 1935 il governo sovietico prese provvedimenti che sostanzialmente riabilitarono il nazionalismo russo. 

  • Il mito della rivoluzione come atto di classe venne gradualmente sostituito dal mito della rivoluzione come atto patriottico. 
  • L'emarginazione dei valori rivoluzionari fu portata avanti censurando le opere dei capi delle opposizioni anti-staliniane e chiudendo i circoli dei vecchi bolscevichi . 
  • A partire dal 1936, sui giornali di partito il popolo russo cominciò ad essere definito il "primo tra eguali", evidenziandone in qualche modo la supremazia. 
  • Venne esaltata anche la "grande e potente lingua russa" e si procedette alla cirillizzazione dei vari alfabeti nazionali. 
  • I divorzi furono resi più difficoltosi e l’aborto, che era stato legalizzato nel 1920, tornò ad essere un crimine. 
  • Gli obblighi e le costrizioni della tradizione tornarono quindi a caratterizzare i rapporti dentro la famiglia. Furono istituiti i premi per le "madri eroine", graduandone l'entità in proporzione al numero dei figli concepiti. 
Questa svolta conservatrice post-rivoluzionaria fu troppo profonda per non destare l’attenzione degli osservatori del mondo sovietico. Pavlov, il celebre premio Nobel, accusò Molotov di aver seminato il fascismo nella cultura del paese e Lev Trockij pubblicò nel 1936 una delle sue opere più famose, La rivoluzione tradita, nella quale approfondì l'analisi della deriva reazionaria e anti-marxista della sovrastruttura del sistema sovietico staliniano. 




Pianificazione e mercato: contraddizioni e squilibri dell'economia sovietica

L'ultimo contributo di Stalin come teorico del comunismo fu l'opuscolo pubblicato nell'autunno del 1952 intitolato Problemi economici del socialismo in URSS. Da esso emerse il volto del suo sistema ideologico–politico e cioè una teoria dell'armonia che copriva una realtà sostanziale segnata dalla sottomissione di tutta la società al controllo e alla violenza del potere monocratico. 

Quadro propagandistico: Stalin legge un libro dal titolo "Lenin" e riflette.
Un quadro propagandistico. Stalin riflette sulla sua lettura.
Il libro si intitola Lenin.

Dal punto di vista della teoria economica Stalin ammise che la legge del valore avrebbe continuato a lungo a dominare, anche se in modo distorto, le relazioni tra i vari soggetti economici. L'uso della moneta e la necessità del controllo dei prezzi restavano quindi un ostacolo insormontabile per la transizione dal socialismo al comunismo. Stalin evidenziò che la presenza dell'appezzamento individuale contadino e di un mercato colcosiano "libero" rappresentavano la residuale presenza di rapporti di produzione non-socialisti nel sistema. Essi si potevano forzare, imponendo con la coercizione uno scambio diseguale alle campagne, ma non si potevano smantellare o statalizzare. 

Con l'introduzione di questo tabù Stalin lasciò in eredità ai suoi successori un problema irrisolto di difficile comprensione. Se la marcia verso il futuro dipendeva dalla statalizzazione dei colcos, per quale motivo un potere, che ne era in tutto il padrone, non poteva procedere in questa direzione? Stalin alla domanda finse di non saper rispondere. 

In realtà egli sapeva benissimo che la statalizzazione dei colcos e la soppressione degli appezzamenti individuali avrebbe introdotto nel sistema uno squilibrio che ne avrebbe preceduto il crollo. Con le riflessioni staliniane sulla sopravvivenza della legge del valore, della moneta e del libero commercio privato dentro l'economia socialista il cerchio della modernità sovietica si chiuse attorno ad un groviglio di contraddizioni irrisolte. Le implicazioni profonde di questa chiusura, che peseranno sul sistema fino alla sua agonia, saranno appena intuite e poi definitivamente trascurate dai suoi successori.


5 commenti:

  1. A proposito del reinserimento degli elementi di nazionalismo nel discorso pubblico e nella retorica ufficiale sovietica, mi viene in mente che durante la seconda guerra mondiale se ne vede un riflesso anche nel linguaggio militare.

    Le nuove decorazioni militari portano i nomi di generali e ammiragli di età zarista. L'offensiva estiva del '44, che scaccia le truppe tedesche dalla Bielorussia, viene chiamata Operazione Bagration, dal nome del generale che affrontò Napoleone nel 1812.

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  2. Si, hai colto un altro elemento importante che caratterizza una svolta epocale. Dopotutto l'anima nazionalista del comunismo russo non si è forse alleata con quella nazional-conservatrice anche dopo il crollo dell'URSS?

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Ognuno col senno di poi può certo criticare Stalin, la colpa che gli si rimprovera era di essere uno statista, un uomo che cercava il consenso, una persona eclettica ossia essere un Politico. A mio avviso è stato un gigante, senza di lui la storia sarebbe stata diversa, magari altri avrebbero fatto meglio, con meno morti meno crudeltà bla bla bla.. Gli altri però sono restati al palo, gli altri sono stati sconfitti, allora perché sicuramente avevano tare maggiori di quelle di Stalin, perché mentre criticavano una cosa un'altra non avevano capito la loro sconfitta. Stalin in vita aveva più lodi che critiche, e ha fatto molto a mio avviso pur con i suoi mali e i suoi limiti per l'urss e per il mondo. A volte sono i criminali a fare la storia gli va dato atto che i libri di storia ne sono pieni, ma i meriti di Stalin superano i sui difetti

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  5. Stalin è stato criticato anche col "senno del durante" ed esiste una immensa bibliografia di contemporanei che ne criticavano l'operato in maniera intelligente, proponendo alternative e mettendo in guardia dagli effetti sconsiderati del suo "statismo". Non oso rimproverare il suo eclettismo, la sua astuzia, la sua capacità di comprensione del "brodo storico" nel quale fu immerso lui e il paese che guidava. Tuttavia ho cercato di porre l'attenzione su provvedimenti legislativi e i loro effetti sulla società sovietica, senza pregiudizi e lasciando parlare i crudi fatti. Ognuno si farà le sue opinioni su questa base di fatti incontestabili. Nella politica capita di vincere e di perdere, si sa. Ma mai e poi mai mi sognerei di ritenere, ad esempio, i pregi del capitalismo superiori ai suoi difetti solo perché ha prevalso globalmente sulle alternative di sistema tentate.

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