Venendo incontro
agli stimoli preziosi e costruttivi dell'ideatore di questo blog, ho deciso di
affrontare, insieme ai lettori che gradiranno accompagnarci in questo percorso
di approfondimento, la storia del più straordinario e contraddittorio
esperimento socio-politico della storia dell’umanità: la parabola dell’Unione Sovietica. Alcuni potrebbero sorriderne e paragonare questo mio accanimento ad una inutile
autopsia storiografica. Rispondo anticipatamente facendo notare che pochi paesi
offrono alla voracità dello studioso una prateria così ricca di prede
concettuali e argomentative. La ricchezza della straordinaria parabola
dell’URSS risiede in primo luogo nella sua contraddittorietà, celata sotto la
maschera dell'apparente monolitismo e nella equivoca natura delle vicende
storiche fondamentali.
Equivoco fu il 1917 con le sue due rivoluzioni: i bolscevichi guidati da Lenin (che poco tempo prima aveva augurato alle generazioni future di combattere per un socialismo che lui non avrebbe conosciuto) riuscirono a giungere la potere. Nel giro di pochi mesi prendere il potere in nome del socialismo in un paese arretrato e sostanzialmente pre-capitalistico come la Russia non era più né un utopia né una eresia teorica: la storia si poteva forzare.
Unione delle Repubbliche: le molte facce di uno stato
Equivoco fu il 1917 con le sue due rivoluzioni: i bolscevichi guidati da Lenin (che poco tempo prima aveva augurato alle generazioni future di combattere per un socialismo che lui non avrebbe conosciuto) riuscirono a giungere la potere. Nel giro di pochi mesi prendere il potere in nome del socialismo in un paese arretrato e sostanzialmente pre-capitalistico come la Russia non era più né un utopia né una eresia teorica: la storia si poteva forzare.
Tuttavia per molti studiosi questa
forzatura fu foriera dei convulsi sviluppi successivi. La base materiale per la
costruzione del socialismo era assente e a ciò si dovette rispondere con un
irrigidimento del regime e con lo svuotamento dei caratteri essenziali della
democrazia dei soviet: la rivoluzione continuava ad essere fatta per il popolo
ma cessò di essere fatta dal popolo.
La guerra civile
e il “comunismo di guerra” furono ulteriori eventi che arricchiscono lo
scenario di tragico materiale di studio e delineano il profilo di un potere
che, attraversato da flussi storici profondi, muta la sua essenza per
fronteggiare sfide sempre nuove. Gli anni venti si aprirono tra i dubbi di
un’intensa elaborazione teorica: vinta la guerra civile, che cosa fare della
rivoluzione? Come costruire il socialismo?
Come colmare il gap che separava il livello della base materiale economica dalla possibilità di costruire un modello di sviluppo utile a tutto il popolo? Lenin e i vertici del partito decisero che tale gap andava recuperato attraverso una relativa liberalizzazione dei commerci nelle campagne: nasceva la NEP, un'altra tematica destinata ad avere una fortuna storica invidiabile. Ma la prematura morte di Lenin e l'inesorabile ascesa di Stalin aprirono il sipario decisivo della storia sovietica. Sarebbe stato il dittatore georgiano a dissipare ogni dubbio circa le modalità con le quali erigere le basi materiali del nuovo sistema.
La costruzione
del “socialismo in un paese solo”, concetto già di per se singolare per un
marxista, ci conduce a ritenere quanto fosse vera la “legge” di Kljucevskij, il
maggior storico di epoca zarista, secondo il quale nel passato russo i
cambiamenti avevano sempre condotto a risultati diversi da quelli attesi.
Nel
trentennio staliniano il solco, già scavato dalla guerra civile, tra realtà
sovietica e sogni socialisti divenne un baratro che inghiottì milioni di vite
umane. Mentre il paese cominciava a
riprendersi dalla tempesta del terrore staliniano giunse la mannaia
dell’invasione nazista. Il regime ne uscì vittorioso, il partito mai cosi
legittimato, il suo leader mai cosi osannato e onnipotente. Ma il popolo, che
combattendo per la patria salvò anche il regime, maturò i sentimenti e il
desiderio di un rinnovato protagonismo sociale. L’URSS conquistò una sfera
d’influenza enorme: un boccone appetitoso ma difficile da digerire. La
terribile gestione staliniana si concluse quindi con l’ennesima contraddizione:
il trionfo del mito all’esterno, l’opacità e il rigido conformismo del regime
all’interno.
La morte di
Stalin giunse improvvisa e inattesa. I suoi successori si trovarono a gestire
un fardello di criticità e contraddizioni assai complicato. Ad emergere fu un
imprevedibile contendente: Nikita Chruščёv, che governò per circa un decennio.
Il suo carattere fu composto da luci e ombre, proprio come la sua epoca. Dentro
di lui convivevano la durezza e l’ottusità del navigato quadro stalinista
insieme alla curiosità per le novità che un mondo in trasformazione sapeva
offrire. Era consapevole dei difetti del sistema e di quanto fosse soffocante
la cappa burocratica che avvolgeva la società, la cultura, la scienza e
l’economia in URSS.
Ma era altrettanto convinto che i progressi ottenuti dalla
costruzione del socialismo in URSS andassero preservati, che gli oppositori del
regime dovessero essere messi a tacere, che il ruolo di guida dell’URSS nel
campo socialista non si dovesse mettere in discussione. Ebbe da solo il
coraggio che tutti i suoi colleghi non ebbero quando annunciò al partito e
quindi al paese e al mondo che Stalin fu il responsabile di crimini inauditi e
imperdonabili. Ma le sue intuizioni si scontravano continuamente con le sue
reticenze, e le sue aperture erano spesso seguite da precipitose rettifiche e
dannose retromarce. La contraddizione
segue la storia sovietica come l’ombra segue il viandante nel deserto. La
costante ricerca di soluzioni condusse ad implementare il male che si voleva
curare.
Fu quindi la
burocrazia a porre la parola fine alle sperimentazioni kruscioviane. Dato che
il “riformismo” portava a convulsioni di tutto il corpo economico e sociale, la
casta sedimentata nei vertici della piramide sociale decise di bandire le
riforme e il loro padre. Il nuovo faro sarebbe stato la “stabilità”. Nei 18
anni di gestione Brežnev il paese andò alla ricerca della quiete all'interno e
all’esterno.
Ma poteva la quiete addirsi ad un paese nato e costruito
nell’emergenza e per l’emergenza? Poteva un’improbabile “stabilizzazione
dell’esistente” motivare, ispirare e rendere ancora influente e attraente
l’ideale socialista? La risposta negativa al quesito ebbe conferma efficace a
cavallo tra gli anni 70 e 80: cinismo, inefficienza, corruzione, conformismo di
facciata, mancanza di sperimentazione e di capacità introspettiva erano ormai i
tratti distintivi di un sistema che invecchiava di pari passo con i propri
leader. Fu forse per questo motivo che dopo tre vecchi decrepiti il compito
di evitare la paralisi fu affidato ad un giovane cinquantenne.
Michail Gorbačëv non era un grande statista. Non conosceva i meccanismi profondi che minavano il
sistema che presiedeva. Non aveva una ricetta precisa e coerente su come si
dovesse riformare l’economia. In sei anni distrusse il proprio paese, minò
l'economia industriale, e consegno l'impero sovietico alla concorrenza
occidentale.
Tuttavia riuscì in un miracolo per il quale tutti dovremmo
essergli grati: tutto ciò avvenne praticamente senza spargimenti di sangue e
senza una “balcanizzazione” violenta dell’URSS. Egli cercò di evitare ciò che
era ormai inevitabile, ma lo fece nel rispetto dei principi fondamentali di
umanesimo e democrazia politica che pose alla base della Perestrojka e della
Glasnost. Forse, per condurre il feretro dell’URSS al capezzale della storia,
era molto più indicato un capo mediocre e improvvisatore che non un tiranno
spietato e irriducibile.
Nei prossimi post cercherò di
analizzare in primo luogo la pesante eredità staliniana in quanto ritengo che
sia impossibile comprendere il fallimento delle riforme e il collasso del
sistema sovietico senza un’adeguata comprensione del fenomeno Stalin e delle
sue conseguenze.
Il sistema sovietico ha rappresentato per oltre sette decenni
l’alternativa di sistema al mondo capitalistico. La sua edificazione non è
stata un semplice incidente della storia ma l’affermazione politica della
volontà di milioni di uomini. Evocarne le vicende non significa riesumare il
cadavere inutile e sepolto di un
concetto che la storia ha relegato nel dimenticatoio della sconfitta e del
fallimento, ma significa aprirsi un sentiero concettuale verso la comprensione
di un sistema complesso e ricco di spunti critici.
Credo valga la pena interrogarsi
su questi temi in un momento storico delicato come quello che stiamo vivendo.
Il sistema capitalistico vive una crisi penetrante e apparentemente
inspiegabile. Come è possibile che dopo un trentennio di applicazione di
dottrine economiche liberiste l'occidente capitalista sia entrato in un epoca
di crisi cosi acuta? La domanda è lecita: secondo i massimi organismi
finanziari mondiali le misure di liberalizzazione e privatizzazione attuate
negli ultimi decenni avrebbero dovuto guidare la “mano invisibile” nel migliore
dei modi. Invece, ancora una volta, ciò che si materializza innanzi a noi è uno
scenario nel quale una strada alternativa al capitalismo comincia ad essere più
un'esigenza che una provocazione visionaria.
***
AGGIORNAMENTO del 24-07-2013 I post di questa rubrica andranno sotto l'etichetta "storia dell'URSS in pillole". Potete già leggere il primo articolo: L'eredità del periodo staliniano: stalinismo e marxismo.
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