mercoledì 11 giugno 2014

Il disastro di Nedelin: il più grande incidente della missilistica


Il prototipo del missile R-16 esplode sulla rampa: un'immagine della catastrofe di Nedelin.Bajkonur, il cosmodromo dei grandi record spaziali, nacque come poligono di tiro per le future Forze missilistiche strategiche: Tjuratam, il luogo in cui, lontano da occhi indiscreti, collaudare i missili balistici intercontinentali. In quella località della steppa kazaka, fra sonde e satelliti, venivano provati i vettori progettati per trasportare gli ordigni nucleari. Uno di questi test, nell'ottobre del 1960, si concluse con un sanguinoso disastro noto come catastrofe di Nedelin, il più grave incidente della storia della missilistica, l'esplosione sulla rampa del prototipo del razzo R-16.



Il nuovo missile R-16


Alla fine degli anni '50 l'URSS necessitava di nuovi missili. Quelli già disponibili nel suo arsenale minacciavano i membri della NATO in Europa occidentale. Solo il vettore R-7 dell'OKB-1 poteva portare un'arma nucleare fin sul territorio degli Stati Uniti. Ma gli R-7, con motori a kerosene e ossigeno liquido, non erano un'arma ideale, lenti da rifornire ed esposti a un attacco nemico a causa delle loro grandi rampe di lancio in superficie. Urgeva qualcosa di più pratico.

Alle Forze missilistiche strategiche serviva un missile che potesse essere tenuto per mesi in un silo corazzato, con i serbatoi pieni, in stato di allerta, pronto al lancio in breve tempo dall'arrivo degli ordini.

Michail Kuz'mič Jangel', ingegnere capo dell'OKB-257, con le sue decorazioni.
Michail Jangel', capo dell'OKB-586.
Da queste premesse nacque il progetto dell'R-16, un elegante missile a due stadi, progetto dell'OKB-586, diretto da Michail Kuz'mič Jangel'. Cito da Il mistero dei cosmonauti perduti, di Luca Boschini, che riassume efficacemente i termini della questione:
I componenti del suo carburante [dimetilidrazina asimmetrica e ipoazotide, NdR] erano liquidi a temperatura ambiente, il che facilitava l'immagazzinamento, ed erano ipergolici, vale a dire che si accendevano spontaneamente solo entrando in contatto, senza bisogno di un complesso sistema di iniezione. Bastava far saltare le valvole delle cisterne (che erano di tipo pirotecnico e una volta aperte non si potevano più chiudere) e il razzo sarebbe partito. Una soluzione così semplice era il sogno di tutti i generali dell'esercito.

Si tratta anche di carburanti corrosivi, tossici e cancerogeni, tanto da obbligare il personale di rifornimento a indossare le tute per la guerra chimica. Ma è un fastidio accettabile per il personale chiamato a combattere l'ipotetica ultima guerra della razza umana.



Un missile troppo importante


Mentre gli R-7, così utili per le imprese spaziali, si rivelavano sempre meno utili sul piano militare, per converso il vettore R-16 acquistava importanza. Il prototipo venne portato sulla rampa di Tjuratam il 21 di ottobre del 1960. In fase di produzione molti difetti riscontrati furono volutamente ignorati, tanta era la fretta dei progettisti e del maresciallo Mitrofan Ivanovič Nedelin, primo comandante in capo delle Forze missilistiche strategiche. 

Il maresciallo con quel lancio forse si giocava la carriera. Ufficiale d'artiglieria, decorato, Eroe dell'Unione Sovietica, il maresciallo Nedelin fu uno dei grandi sostenitori dello sviluppo dell'arma missilistica e spinse il governo ad allocare in questo nuovo settore ingenti risorse, con danno dell'aviazione strategica. Ma nonostante gli anni, le risorse e il lavoro impegnati, i risultati latitavano. Gli R-7 erano poco più che un bluff. Gli altri missili non avevano la gittata sufficiente a colpire gli Stati Uniti. La situazione era in bilico.

Il 23 di ottobre le valvole pirotecniche vennero fatte saltare. Il missile rimase sulla rampa, i motori non si erano accesi. Questo era un problema non da poco: quali valvole avevano fatto cilecca? Impossibile saperlo, lo stato delle valvole non era fra i dati comunicati per via telemetrica.

Una foto del maresciallo Nedelin con le sue medaglie, primo comandante in capo delle Forze missilistiche strategiche dell'URSS.
Il maresciallo Mitrofan Nedelin,
primo comandante in capo delle
Forze missilistiche strategiche.
Prudenza avrebbe voluto che si svuotassero i serbatoi dei pericolosi carburanti ipergolici, per poi procedere a controllare le valvole e sostituirle. Ci sarebbero voluti giorni. Troppo tempo per Nedelin, messo sotto pressione dalle continue telefonate di Chruščёv e altri alti papaveri del Cremlino. Così Nedelin, con il sostegno della commissione che sovrintendeva al collaudo, decise di non frapporre indugi. Ingegneri e militari di grande esperienza scelsero di ignorare le più basilari regole di sicurezza: le riparazioni sarebbero state effettuate sul missile pieno di carburante, sulla rampa di lancio.

Il pericolo per il personale era spaventoso. Nedelin fece portare una scrivania a venti metri dalla rampa. Lì prese posto insieme agli altri commissari e ricominciò a esaminare la documentazione. I tecnici, vedendo i capi dare l'esempio, non osarono protestare e tornarono disciplinatamente al lavoro.



L'esplosione, la strage, le indagini


Il 24 di ottobre, mentre i lavori continuavano senza sosta, le telecamere di sorveglianza del poligono si accesero. Il missile era ancora inchiodato alla rampa, ma i motori del secondo stadio si erano accesi. Il metallo sottostante si fuse e il carburante contenuto nei serbatoi del primo stadio si incendiò. L'esplosione, una fiammata da 3.000 gradi Celsius, incenerì coloro che lavoravano intorno al vettore. Altri, più distanti, non riuscirono a scappare comunque: avvelenamenti e ustioni chimiche causate dai vapori dei combustibili fecero il resto. I pompieri del poligono lottarono contro l'incendio per due ore prima di averne ragione. Solo allora i soccorritori poterono intervenire. Era rimasto ben poco da soccorrere.

Arrivò immediatamente a Tjuratam una commissione di indagine, guidata da Leonid Brežnev, che era all'epoca il 'presidente cerimoniale' dell'URSS. La commissione stabilì che durante la fabbricazione del prototipo e le operazioni pre-lancio era stato accumulato un incredibile ammontare di violazioni ai protocolli di sicurezza. Una volta rifornito il missile e constatato il mancato avviamento dei motori si proseguì con i lavori tenendo il missile sulla rampa, con i serbatoi pieni. Si lavorò anche di notte, alla luce delle fotoelettriche, violando ogni norma di sicurezza e anche le regole del più elementare buon senso: procedure aggirate, circuiti disinseriti. A 60 minuti dal momento previsto per il lancio, la mattina del 24, un personale numeroso ancora armeggiava attorno al vettore. Molto di questo personale non era nemmeno necessario. La commissione stabilì però che non si dovessero punire i responsabili: avevano già pagato quasi tutti con la vita.

I rottami del missile dopo l'esplosione.
Ciò che rimase del vettore R-16 dopo l'incidente.
Quel giorno in effetti accadde di tutto. A Tjuratam non si fecero mancare niente: violazioni deliberate, errori di vario genere, dimenticanze. Tra inceneriti, dissolti e avvelenati l'incidente causò 101 morti. Molti erano scienziati, progettisti e militari difficilmente sostituibili. Tra loro il maresciallo Nedelin. Era un uomo esperto di guerra ed era considerato uno degli ufficiali di vertice più intelligenti e lungimiranti dell'URSS. Ma tutta la sua esperienza e la sua intelligenza, quel giorno, non gli impedirono di agire con un'arroganza e un'avventatezza che gli risultarono fatali.

Anche il progettista capo, l'ingegner Jangel', si trovava nei dintorni della rampa quel giorno. Era dietro un bunker, in uno spiazzo che veniva usato come zona per la pausa sigaretta, insieme ad altri tabagisti, quando il missile esplose: lo salvarono il caso e il vizio del fumo.


***


Sul disastro venne calata l'usuale coltre di segretezza. Dei morti si disse che erano deceduti in diversi momenti, in diversi luoghi, per incidenti di varia natura. La verità emerse decenni dopo.

4 commenti:

  1. incredibilmente efficace, da diffondersi ai massimi livelli di informazione

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  2. per cortesia chiedo il permesso di pubblicare parti del tuo bell'articolo in un volumetto che sto preparando, citando ovviamente il tuo nome e il link. Solo che non conosco il tuo nome
    Grazie, MRosa Menzio

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  3. Tra parentesi, la mia mail è mrosa.menzio@gmail.com

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