A partire dagli anni sessanta il
programma spaziale sovietico aveva già incominciato a progettare una serie di
quattro macchine lunari come possibile sviluppo di un veicolo monoposto per le
missioni lunari umane.
Il progetto iniziale prevedeva la realizzazione di un robot chiamato Lunochod per il supporto delle future missioni di cosmonauti sulla Luna e per lo
studio dell'ambiente selenico per continuare a indagare le possibili aree di allunaggio
e la costruzione di basi abitate sul
satellite.
Se il programma spaziale
sovietico fosse riuscito a far sbarcare un uomo sulla Luna molto probabilmente
il primo cosmonauta russo a mettere piede sul satellite, Aleksej Leonov,
avrebbe avuto a disposizione un veicolo di trasporto molto simile al Lunochod.
Tuttavia, dopo lo sbarco degli
astronauti americani, il programma Lunochod
aveva dovuto riadattarsi alle esigenze del programma spaziale e della
propaganda politica della corsa allo spazio. Questi mezzi di esplorazione
furono in seguito modificati come robot
scientifici radiocomandati e successivamente mandati sulla Luna privi di equipaggio.
La prima missione si era rivelata
un autentico fallimento in quanto il razzo vettore che avrebbe dovuto condurre
il primo Lunochod sulla Luna era
esploso qualche secondo dopo il lancio, esattamente il 19 febbraio 1969. I
sovietici non avevano fatto menzione dell'accaduto e il veicolo lunare che aveva
preso il nome di Lunochod 1 era in
realtà il secondo, lanciato con la missione Luna
17.
Con grande sorpresa degli scienziati
occidentali il successo delle missioni Lunochod
aveva avuto due significati: uno tecnico e uno chiaramente politico. La
realizzazione di una sonda automatica in grado di depositare veicoli
radiocomandati per l'esplorazione lunare aveva aperto interessanti prospettive per le future conquiste. L'evidente
significato politico dimostrava invece che i sovietici avevano chiaramente dato
la prova di voler continuare a partecipare
alla conquista della Luna.
Dei quattro Lunochod realizzati soltanto tre
erano stati lanciati e solamente due
erano riusciti ad allunare e compiere le attività previste per sondare l'ambiente
lunare.
Il primo Lunochod (No. 203) era sbarcato con successo il 17 novembre 1970,
il secondo (No. 204) il 9 gennaio 1973, mentre il terzo (No. 205), programmato
per il volo di Luna 25 del 1977, non
fu mai spedito in orbita a seguito della chiusura del Programma Luna e della cancellazione della missione.
Lunochod No. 201
Il primo tentativo di inviare un Lunochod
sulla superficie lunare era stato compiuto con la missione L1969A il 19 febbraio 1969, prima della realizzazione delle
missioni Luna 15 e Luna 16.
Il veicolo in questione, primo di
quattro della stessa famiglia, era il modello No. 201 e pesava 5.590 kg.
In questo occasione la sonda che
trasportava il nuovo strumento lunare era andata inavvertitamente perduta 51
secondi dopo la partenza a causa dell'esplosione
del primo stadio del razzo vettore e la conseguente ricaduta al suolo del
missile.
Per ripetere la missione il
programma spaziale sovietico dovrà attendere prima la realizzazione delle
missioni Luna 15 e 16 per poi mettere a
punto un nuovo lancio nel novembre del 1970.
Lunochod 1
Si trattava questa volta di una
missione volta a posare con successo sulla superficie selenica il primo veicolo lunare telecomandato, una
sorta di robot semovente con il compito di esplorare l'ambiente della Luna per
mezzo di telecamere e apparecchiature scientifiche molto sofisticate.
Il Lunochod (letteralmente
“camminatore lunare”) era stato rilasciato con buon esito sulla superficie
della Luna il 17 novembre dello stesso anno nella regione del Mare
Imbrium (Mare delle Piogge) tra il promontorio di Ercole e il cratere
Caroline Herschel.
Svolgendo operazioni abbastanza
ampie la “jeep lunare” aveva ritrasmesso via radio le sue osservazioni coprendo
complessivamente una distanza totale di 10.542 metri tra il 17 novembre 1970 e
il 4 ottobre 1971 regalando ai sovietici un nuovo primato nell'esplorazione
lunare.
I dettagli della missione
Dopo alcune orbite attorno alla Terra per
il controllo dei sistemi di navigazione il motore dell'ultimo stadio del razzo
vettore era stato riacceso per condurre la sonda Luna 17 in prossimità del satellite.
Un francobollo da 10 copechi celebra la missione Luna 17 e il Lunochod. |
Quando la stazione automatica si
era trovata a circa 139.000 km dalla Terra l'agenzia di stampa TASS
aveva rilasciato un primo comunicato dichiarando che Luna 17
aveva il compito di “esplorare nuovamente la Luna e lo spazio circumlunare”,
facendo credere che si trattasse di una missione identica a Luna 16 e senza svelare anticipatamente
la presenza di un veicolo lunare a bordo.
Due lievi correzioni di rotta
erano state impartite al veicolo in modo da condurlo in maniera precisa sul
bersaglio lunare il 15 novembre. Entrato in orbita attorno alla Luna ad
un'altezza di 85 km, il giorno successivo la distanza era stata ridotta a 19 km
per prepararsi all'allunaggio.
Lo sbarco era stato compiuto alla perfezione senza alcun tipo di
problema; dopo l’attivazione dei contatti radio con il centro di controllo a
terra furono inviate le prime immagini, la sonda adagiata sulla superficie
lunare aveva liberato il veicolo lunare in quattro ore facendolo scivolare su
due rampe verso il suolo.
Una volta attivato, il robot esploratore
si era mosso lentamente verso sud ad una velocità tra gli 0,8 km/h e i 2 km/h analizzando
lungo la strada una cinquantina di crateri, superando discese e salite nelle
desolate lande lunari.
Le caratteristiche di Lunochod 1
Descritto dalla stampa internazionale come il “perfetto gioiello della scienza sovietica” il Lunochod era stato progettato dall’ingegnere di origini armene Aleksandr Kemurdžan per l'ufficio di progettazione OKB-301 , rinominato NPO Lavočkin nel 1960.
Il veicolo aveva un aspetto curioso rispetto agli strumenti sovietici che avevano indagato la superficie lunare negli anni precedenti. La struttura del veicolo lo faceva vagamente assomigliare ad un grosso pentolone dal diametro di 2,15 metri e dal peso di 756 kg. Si muoveva lentamente con l'ausilio di otto ruote motrici indipendenti, quattro per parte, azionate da altrettanti motori elettrici.
Il veicolo aveva un aspetto curioso rispetto agli strumenti sovietici che avevano indagato la superficie lunare negli anni precedenti. La struttura del veicolo lo faceva vagamente assomigliare ad un grosso pentolone dal diametro di 2,15 metri e dal peso di 756 kg. Si muoveva lentamente con l'ausilio di otto ruote motrici indipendenti, quattro per parte, azionate da altrettanti motori elettrici.
Sul battistrada delle ruote
alcune lame di titanio aumentavano la presa nella polverosa superficie lunare
fornendo al veicolo una maggiore mobilità.
Il robot riceveva l'energia utile
a compiere gli spostamenti grazie ad un gruppo di pannelli solari fissati all'interno di un “coperchio” che veniva
aperto e ribaltato durante il giorno lunare per ricevere la luce del sole e
ricaricare le batterie. Durante la lunga notte lunare (due settimane di buio) il
pannello si doveva necessariamente richiudere come un “tetto” sopra il veicolo
fermando le attività del Lunochod che
avrebbero ripreso non appena sarebbe ricomparsa la luce.
Il pannello aveva inoltre la
funzione di proteggere la delicata
strumentazione dalle rigide temperature della notte, che raggiungevano i
150 gradi centigradi sotto lo zero, sigillando ermeticamente il contenitore in
magnesio pressurizzato in un'atmosfera climatizzata che manteneva una
condizione termica intorno ai 15-20 gradi.
Sistemato nella parte posteriore
del veicolo, il Lunochod era dotato di
un piccolo generatore atomico con
isotopi radioattivi del Polonio 210 che durante la notte forniva il calore necessario
a impedire il congelamento degli strumenti.
Il carico della strumentazione
scientifica comprendeva un apparato televisivo ed una serie di strumenti di
analisi per poter svolgere importanti esperimenti da trasmettere direttamente a
terra.
Durante le soste del Lunochod le apparecchiature installate
sul veicolo esaminavano le
caratteristiche del suolo lunare e la sua composizione chimica. Un
telescopio a raggi X analizzava il cielo mentre i segnali laser trasmessi dalla
terra venivano riflessi dal veicolo per misurare la distanza Terra-Luna e la
librazione del satellite (ovvero il moto di oscillazione apparente del
satellite naturale).
Il robot non era stato progettato
per ritornare sulla Terra. Questo aspetto aveva ulteriormente semplificato la
missione perché nel caso in cui il veicolo si fosse inavvertitamente guastato avrebbe
potuto essere semplicemente abbandonato
sulla superficie lunare senza mettere a rischio vite umane.
Il veicolo lunare possedeva dunque
il vantaggio di poter essere inviato anche in luoghi che per l'essere umano
sarebbero potuti risultare pericolosi.
Il Lunochod 1 era stato utilizzato per circa un anno di tempo ed aveva
percorso quasi 11 km durante i quali aveva trasmesso dal Mare Imbrium oltre 20.000 immagini televisive e 206 fotografie
panoramiche dettagliate. Condusse più di 500 esperimenti meccanici sulla
consistenza del suolo e 25 di tipo chimico con lo spettrometro a raggi X
installato su di un braccio meccanico.
Nel complesso la missione Luna 17 aveva rappresentato un salto qualitativo nell'esplorazione
automatica della Luna tanto che il veicolo Lunochod grazie ai suoi principi costruttivi sarebbe in seguito
divenuto il precursore dell'esplorazione
di Marte.
Il controllo da terra
Il modulo di allunaggio di Luna 17, con la rampa dalla quale il rover Lunochod discese sulla superficie lunare. |
Il lavoro di teleguida durava sei
ore giornaliere terrestri, ossia il tempo a disposizione in cui la grande
antenna del centro di controllo riusciva a collegarsi con la Luna. Nelle restanti
ore di attesa i controllori bloccavano il veicolo e studiavano le successive
mosse del percorso da attuare non appena il satellite naturale sarebbe sorto nuovamente
all'orizzonte della Terra.
Le operazioni del veicolo lunare
erano dirette da due squadre di 5 uomini, alternate nel pilotare il veicolo e accuratamente addestrate come se fossero
composte da veri cosmonauti e le cui identità furono tenute nascoste per anni.
Questo clima di segretezza aveva fatto nascere un'assurda leggenda secondo
la quale all'interno del veicolo ci sarebbe stato un nano che il KGB aveva mandato
in missione suicida in nome della scienza e per il prestigio dell'Unione Sovietica.
Nonostante la destrezza dei
controllori il Lunochod in diverse
occasioni si era insabbiato nella polvere
lunare. Le operazioni di controllo
del veicolo erano infatti particolarmente
complicate. Per fare curvare il Lunochod
i controllori dovevano comandare velocità diverse alle ruote su entrambi i lati.
Inoltre, al centro di controllo, le immagini della Luna erano ricevute con 5 secondi di ritardo impedendo una
guida agevole del mezzo.
Le immagini che riceveva la
console di guida erano fornite da 4 telecamere a scansione lenta collocate
nella parte anteriore del Lunochod e
sui lati. Consentivano al centro di controllo di avere una visione
stereoscopica dell'ambiente indagato.
Si trattava di una missione del
tutto diversa dalle 16 precedenti del programma Luna. In questo caso l'indagine della Luna era più rischiosa e
difficile e il veicolo doveva tentare un'esplorazione molto ampia del suolo
lunare.
Scientificamente le operazioni
del Lunochod erano state di grande
rilievo anche se la stampa non aveva
dedicato particolare attenzione all'evento a causa della scarsa attenzione
che ormai l'opinione pubblica dedicava alle missioni automatiche sulla Luna.
Dal punto di vista tecnologico, invece, la missione aveva rappresentato una grande
sfida a causa della lunga durata delle operazioni, prevista in almeno tre giorni lunari, ossia 84 giorni terrestri.
In assenza di particolari
difficoltà la durata del viaggio fu estesa oltre le previsioni e per 322 giorni terrestri il Lunochod aveva continuato a trasmettere
le immagini fino a che il 4 ottobre 1971, nella ricorrenza del lancio dello Sputnik 1, gli scienziati sovietici
avevano annunciato la conclusione della missione.
Le operazioni di esplorazione
lunare erano in realtà già terminate il 20 gennaio 1971 quando il veicolo era
ritornato al punto di partenza dopo essersi allontanato verso sud per circa 1.300
metri. L'ultima sessione di comunicazione con il centro di controllo era stata
completata il 14 settembre 1971.
Nel complesso in un periodo durato
ben dieci mesi e mezzo, il Lunochod aveva
percorso 10.542 metri tra andata e ritorno attraverso un percorso tortuoso e studiando
una superficie di 500.000 metri quadrati.
Nel suo viaggio il veicolo aveva
inviato immagini televisive ed aveva testato le caratteristiche del suolo
lunare.
Durante le operazioni del Lunochod il viaggio sul suolo lunare era
intervallato da periodiche soste del
veicolo per indagare il terreno, ricorrendo ad un penetrometro che per 500
volte aveva misurato la consistenza della superficie. Il terreno veniva
successivamente irradiato da un laser mentre uno spettrometro analizzava le
caratteristiche dei componenti permettendo la realizzazione di 25 analisi
chimiche effettuate con successo individuando materiali come ferro, titanio ed
alluminio.
Il veicolo aveva anche misurato i
raggi cosmici e il vento solare tramite dei rilevatori appositamente progettati.
Infine, un riflettore laser di fabbricazione francese, collocato nella parte
anteriore del Lunochod, aveva
permesso di calcolare la distanza dalla
Luna alla Terra riflettendo fasci di radiazione trasmessi dalla stazione in
Crimea e dall'Osservatorio astronomico del Pic-du-Midi in Francia. La stampa
aveva considerato questo esperimento un primato di collaborazione tra i due
Paesi.
***
Fonti
AA.VV., La conquista dello spazio. Dal primo uomo sulla luna alle più recenti
navicelle spaziali, Novara: Istituto Geografico DeAgostini, 1998.
Becklake Sue, Stelle e pianeti. Il sistema solare e gli
spazi infiniti, Milano: Arnoldo Mondadori, 1989.
Bedini Daniele, Breve storia della conquista dello spazio,
Milano: Bompiani, 1998.
Bianucci Piero, La luna: tradizioni, scienza, futuro,
Firenze: Giunti, 1988.
Boschini Luca, Il mistero dei cosmonauti perduti. Leggende,
bugie e segreti della cosmonautica sovietica, Padova:Cicap, 2013.
Braccesi Alessandro, Caprara
Giovanni, Hack Margherita, Alla scoperta
del sistema solare, Milano: Arnoldo Mondadori, 2000.
Caprara Giovanni, In viaggio tra le stelle: storie, avventure
e scoperte nello spazio, Milano: Boroli, 2005.
Cavina Stefano, Apollo,
la sfida della Luna, Serravalle: AIEP, 2011.
Dyer Alan, Missione Luna, Milano: Touring, 2009.
Gatland Kenneth W., Esplorazione dello spazio: tecnologia
dell’astronautica, Novara: Istituto Geografico DeAgostini, 1983.
Gatland Kenneth W., Ricerche sullo spazio, Milano: Arnoldo
Mondadori, 1975.
Hack Margherita, Il cielo intorno a noi: viaggio dalla Terra
ai confini dell’ignoto per capire il nostro posto nell’universo, Milano:
Baldini&Castoldi. 2012.
Masini Giancarlo, La grande avventura dello Spazio: la conquista
della Luna,
Novara:
Istituto geografico DeAgostini, 1973.
Nitschelm Christian, Christine
Ehm, Myriam Schleiss, Piccola
enciclopedia della luna, Milano: Rizzoli, 2003.
Prestinenza Luigi, La scoperta dei pianeti, Roma: Gremese,
2007.
“La Stampa”, 12 novembre 1970, p.
1
“La Stampa”, 18 novembre 1970, p.
1
“L’Unità”, 18 novembre 1970, p.
1, 3
“L’Unità”, 19 novembre 1970, p.
1, 5
“L’Unità”, 20 novembre 1970, p.
1, 3
Nessun commento:
Posta un commento